04 novembre 2016

Ugarage: Scenari immaginari di Franco Cecchini



UGarage: si parla di "Scenari immaginari" tra amici e Franco Cecchini 
Tra le immagini di Franco Cecchini esposte nelle mostra "Scenari Immaginari" ne ho fotografate alcune, a pelle, quelle che mi suscitavano un maggiore interesse , una suggestione o una emozione a volte inspiegabile. Dopo averle  trasferite sul pc per guardarle con più attenzione ho scoperto che hanno tutte la stessa trama, lo stesso filo conduttore: il movimento,  una sinestesia che ti da  la sensazione di muoverti all'interno della foto.

L'occhio e la mente cercano di scoprire cosa ci sia al di là di una porta in fondo ad un corridoio fatto di archi e volte   ( Interiors); quale profondità si celi tra le pareti e i muri divisi da solo colore (Camaguey);  quale relazione esista tra gli incastri e le  linee oblique dei tetti (Bolzano e Orvieto); il verso giusto di una scala in cui  il sopra e il sotto dei gradini s’inverte di continuo come in un quadro di Escher (Linee di fuga - Milano). Poi, nella foto che preferisco, vorresti scostare una tenda da cui filtra un refolo d’aria calda (perché non fresca? boh!)  per vedere da quale finestra aperta provenga la luce (l'Appuntamento).

"Scenari immaginari" per l’appunto, che solo  un occhio attento e preciso come quello di un chirurgo riesce a estrapolare dalla realtà per farli diventare paradossalmente un'ipotesi, una fantasia.


Interiors - Firenze 2013


Camaguey - Cuba 2014



Collages- Bolzano 2015


Linee di fuga - Orvieto 2014


Linee di fuga - Milano 2014


L'appuntamento - Milano 2014
Potrete vedere tutte le foto  della mostra (senza quei fastidiosi riflessi bianchi delle luci),qui, nel sito web di Ugarage: uno spazio espositivo inventato da Mirko Stortoni nel cuore del centro storico di Jesi. Il Palazzo della Signoria si riflette sulla vetrina dell’ingresso dove, se ti ci affacci nei giorni di mercato infrasettimanale, senti di essere parte di quel via vai tranquillo e curioso che da secoli si svolge lungo via Pergolesi, l’ex via degli Orefici, ricca ancora oggi di qualche negozio storico, del tipo Casa della Lana, e di qualche oreficeria, sopravvissuti all’era del fast food e del franchising.



Jesi, l'ingresso di UGarage

Da UGarage: Palazzo della Signoria (fine '400)


Da UGarage: via Pergolesi ( già via degli Orefici)


Da UGarage: via Pergolesi - l'antico decumano 

Ho parlato di Franco Cecchini anche qui, in occasione della mostra fotografica "Riflessi Condizionati".

24 ottobre 2016

Pensieri sparsi tra Arquata del Tronto e Acquasanta Terme dopo il terremoto

Arquata del Tronto è in alto, distrutta, come implosa su sé stessa, sopra uno sperone di roccia. Ti viene un nodo alla gola nel vederla, già da lontano. Sono le 13, piove, l’aria è fresca ed è scesa un po' di nebbia nella tendopoli allestita qualche decina di metri più in basso ma che, per fortuna, sarà smantellata a breve. Oggi sarà un 'altra giornata dura per chi ha perso tutto e deve fare i conti quotidianamente non solo con la tragedia vissuta ma anche con il futuro da reinventare e, non ultimo, con la straziante vista delle macerie che incombono su tutta la valle (non ci sono ostacoli visivi tra il campo e il paese). L’autunno, il freddo, la nebbia, la pioggia non ti aiuta a essere ottimista. 
Resto soltanto qualche minuto e non scatto foto, mi sento un intruso. 

Ma siamo proprio sicuri che sia meglio ricostruire i vecchi centri abitati anziché costruire in zone nuove più sicure? E’ una domanda che mi faccio vedendo gli innumerevoli teloni blu della protezione civile a protezione dei tetti lesionati o crollati anche lungo la strada verso Ascoli Piceno.

Ad Acquasanta Terme la via Salaria è un nastro che divide in due il paese.  Verso nord, in basso, scorre il fiume Tronto dopo di che è un susseguirsi di crinali e pinnacoli boscosi, anticamera dei Monti Sibillini.

Acquasanta Terme, versante nord: due crinali pressoché identici 
A sud, sulle propaggini dei Monti della Laga, il nucleo più antico di Acquasanta sembra essere nascosto e protetto da un un muro fatto di case unite le une alle altre. Su quel muro , tra due finestre anonime da cui scivola giù un odore di dolci appena sfornati, un’insegna giallognola pubblicizza una pizzeria-pasticceria. 

Acquasanta Terme
Seguo la scia profumata fin dove la strada si restringe, il travertino si sostituisce agli intonaci e dove non è facile trovare un'insegna in particolare, tra una miriade di macellerie, norcinerie, generi alimentari, forni, pasticcerie, pizzerie. Comunque riconosco la mia targa giallognola, entro nel locale piccolissimo pieno zeppo di pizze salate e soprattutto di dolci.

Acquasanta Terme:  il centro storico addobbato per la Festa d'Autunno - folclore e castagne
Il proprietario è una persona gentile e curiosa, mi chiede anche un parere su ciò che mi ha servito. Parliamo con tranquillità eppure sta per chiudere. Alle sue spalle, nel laboratorio, vedo il  forno, gli attrezzi del mestiere , due teglie di croccante alle mandorle appena sfornate (ecco da dove proveniva quel profumo) e la finestra che dal basso avevo giudicato anonima ma che invece si rivela testimone di uno spazio stracolmo non solo di cose ma anche di manualità esperienza  tradizione e umanità.

Un forno nel centro di Acquasanta Terme
Esco sulla strada delle...insegne, un abitante mi dice che anche qui il sisma si è fatto sentire: le case sono rimaste in piedi ma il sessanta per cento delle abitazioni sono inagibili, gli sfollati sono centinaia ma per fortuna non si contano vittime. Cammino tra palazzi cinquecenteschi e costruzioni più umili, i vicoli sono scalinate che s'inerpicano su fino alla parte alta di Acquasanta. Vedo le rocce instabili su cui poggiano alcune case ma tutto il resto è un incastro di travertino, mattoni, muri, terrazze, spigoli di case e tetti che quasi si toccano. E poi finestre, tante finestre, purtroppo chiuse, che immagino testimoni di chissà quanti altri spazi densi di vissuti intrecciati tra loro, compresi quelli del pizzaiolo, a formare l'identità di questo paese.




Acquasanta Terme: il centro storico 
Qui, tutto ha uno scopo, una funzione: un muro diventa un bosco d'edera,  una sporgenza una legnaia, una sedia di legno e delle scalette dove sedersi una piazzetta per chiacchierare con i vicini. Tutto è in relazione con un tutto costruito nei secoli dagli abitanti di Acquasanta. 
Ricomporre queste armonie altrove sarebbe impossibile.

Senza volerlo ho risposto da solo alla domanda che mi ero posto partendo da Arquata del Tronto.

Acquasanta Terme





07 ottobre 2016

Spoon River nell'ex manicomio di Ancona ( CRASS)


CRASS di Ancona: ex manicomio psichiatrico
Stavo parcheggiando l’auto quando una nuvola s’è spostata e ha lasciato passare un raggio di sole che ha fatto risaltare ogni piccolo rilievo, fessura o asperità del muro distante pochi centimetri dalla portiera. Si è così materializzato all’improvviso un patchwork di mattoni lunghissimo, proseguiva anche sui muri contigui, con su incise migliaia di forme geometriche, righe orizzontali verticali e tonde, cifre, date, sequenze numeriche, forme reali e immaginarie, frasi.

I muri sono quelli dell’ex manicomio di Ancona ( oggi è un grande contenitore di servizi pubblici: il CRASS) che delimitavano sia i padiglioni che gli spazi verdi (clicca qui), allora separati gli uni dagli altri, dove i pazienti potevano uscire nelle belle giornate. 

I graffiti sono stati incisi dai “matti” in chissà quanti anni su migliaia di mattoni a partire da terra su fino a quasi due metri di altezza, in alcune aree non esiste un solo mattone inciso.

I graffiti incidono le pareti di tutto il padiglione
La freccia blu indica il luogo dove ho scattato le foto ma i graffiti sono presenti anche in altre aree (ho controllato solo alcune pareti del lato sud) in alcune delle quali prevalgono nomi, date e frasi scritte a matita nella maggioranza dei casi, però, parzialmente coperte con altri segni. 

La planimetria del manicomio antecedente al  1971 :  la freccia blu indica l'area dove ho scattato le foto


Una  corriera degli anni  '40 ?



La mitica corriera Fiat 626 , non è la stessa del graffito?

Solo sequenze numeriche?

Non sembra la sagoma di uno dei tanti padiglioni tutti uguali del manicomio?

Un padiglione dell'ex manicomio di Ancona
Oggi, camminare tra quei padiglioni ti emoziona, avverti che un popolo di etichettati come diversi e quindi pericolosi è vissuto lì segregato dal resto del mondo chissà per quali motivi e chissà per quanto tempo, di sicuro alcune persone a vita.
Senti di vivere in una specie di Spoon River dove però i segni della vita vissuta sono reali, incisi, forse urlati, su migliaia di pietre e che, se studiati, potrebbero raccontare delle storie anch'esse vere. Speriamo che i probabili futuri restauri e ammodernamenti abbiano rispetto per queste tracce e le proteggano.



15 settembre 2016

Il primo giorno di scuola

1960, io in  terza elementare 
Negli anni ’60 frequentavo prima le elementari e poi le medie. Il primo giorno di scuola non era così ricco di auguri come sto leggendo in questi giorni su Facebook ma, al contrario, di minacce del tipo: ricordati che se non fai il bravo ti tocca! … se non studi ti bocciano. E’ vero, in quegli anni negli studi ero più simile a un Pinocchio ma anche chi era bravo come Enrico Derossi (nel libro Cuore) si beccava lo stesso tipo di …consigli.

Si entrava in classe e, ieri come oggi,  il discorso del maestro o del direttore o del prete andava sempre a finire sul nostro futuro: che eravamo il futuro della società, dell’economia, della famiglia, dell'Italia. E a forza di sentire quella parola così grande ma indefinita alla fine non ne conoscevo più il senso: il “mio futuro” è rimasta una parola vuota fino alle superiori. 

Tornando ai messaggi che ho letto oggi, se qualcuno mi avesse augurato, come ha scritto l' amica Bruna Stefanini, “di divertirmi a scuola e di aspettare ogni giorno con desiderio come un'avventura” di sicuro sarei stato meno Pinocchio, il futuro non lo avrei comunque visto prima ma ci sarei arrivato con tanta sicurezza e ricchezza in più tra le mani.



12 settembre 2016

Un matrimonio a Santa Maria del Bagno a Deruta


Deruta: Santuario  Santa Maria del Bagno           3/9/2016
Paola e Luca si sono scambiati gli anelli "segno d'amore e di fedeltà" nel Santuario Madonna del Bagno a Casalina di Deruta (PG): una mini chiesa a pianta rettangolare con tre navate costruita a fine '600 in aperta campagna per custodire l'effige, ritenuta miracolosa, di una Madonna con Bambino incastrata tra i rami di una "querciola".
Oggi la chiesa è sempre lontana dai centri abitati mentre le preghiere si sono materializzate in circa settecento ex voto in ceramica (siamo a Deruta, la capitale della ceramica) fissate dappertutto: sulle pareti e sulle colonne, davanti e dietro, in basso e in alto fin sopra al portale d'ingresso. Solo le volte degli archi e i soffitti ne sono sgombri.

Deruta: Santuario  Santa Maria del Bagno
Deruta: Santuario Santa Maria del Bagno

Deruta: Santuario  Santa Maria del Bagno
Anche le acquasantiere e gli oggetti sacri dell'altare sono in ceramica.


Quelle formelle cementate sulle pareti con uno schema ben preciso sembrano delle finestre di uno strano condominio all'interno delle quali si possono scoprire, la quotidianità, il lavoro, i desideri, le credenze e le paure di tre secoli e mezzo della nostra storia. Sono il segno di una fede semplice e ingenua, ma, a volte,  per chi  deve scontrarsi con le imprevedibilità e i misteri della vita, la distanza tra scientismo e soprannaturale si riduce fino ad azzerarsi, ieri come oggi.

Per Grazia Ricevuta: guarigione di un'indemoniata

Per Grazia Ricevuta... due nascite

Per Grazia Ricevuta
Luca e Paola hanno scelto questa piccola chiesa perché cercavano il raccoglimento, l'intimità e la condivisione insieme ai loro cari, in una cerimonia essenziale , senza applausi e senza le invadenti luci delle videocamere.
La vicinanza, infatti, gomito a gomito con i parenti, gli amici, gli sposi e, mi piace pensare, con chi ha lasciato un segno di fede sulle pareti, ha reso palpabili e contagiosi, negli sguardi, gli affetti e le emozioni di ciascuno di noi.
E adesso...buona strada insieme!

Paola e Luca

06 settembre 2016

L'aria buona di Ca' di Chiocco di Apiro

Apiro (MC), Ca' di Chiocco
Ca' di Chiocco è una piccola frazione di Apiro (MC) così piccola che a volte ci sono più animali a spasso che persone, se facciamo il gioco dei quattro cantoni scopriremo un luogo inaspettato.

A poche centinaia di metri a Ovest, dopo alcune curve, si vede Apiro che da questa prospettiva sembra addossato al Monte San Vicino. D'inverno, al tramonto, sembra lo scenario di un presepe.

Apiro (MC), Ca' di Chiocco:  guardando a Ovest
Torniamo a Cà di Chiocco, le propaggini del monte Nero di Cingoli e del monte di Apiro fanno da quinta, a sud, alle colline della valle di San Clemente e alla catena dei Sibillini che da qui sono "azzurri" proprio come li descriveva Giacomo Leopardi.

Apiro (MC), Ca' di Chiocco:  guardando a Sud
Ad est, una quercia secolare sembra la vela di una barca in viaggio verso il  Monte Conero  e le valli dell'Esino e del Musone.

Apiro (MC), Ca' di Chiocco:  guardando a Est
A settembre, il vento del nord, prima di arrivare a Cà di Chiocco e Apiro, attraversa l'Adriatico, si profuma di mare prima di impattare su Staffolo (nella foto) e le tante colline dei "Castelli di Jesi", s'intrufola tra le vigne, si sfrega su ogni foglia e su ogni acino di Verdicchio  per assorbire quegli odori e quei sapori dal retrogusto un po' amarognolo.
Dicono che qui, come in tutto l'Apirese, l'aria sia buona, frizzante e inebriante, abbiamo visto il perché. Fate attenzione, però, se viaggiate nei paraggi quando soffia la tramontana e l'uva è matura chiudete i finestrini delle auto,  quell'aria potrebbe far alterare i valori dell'etilometro soltanto a respirarla.

Apiro (MC), Ca' di Chiocco : guardando a Nord, il Verdicchio, Staffolo, il mare Adriatico

30 agosto 2016

Ancora non è notte a Cingoli


Da Valcarecce: Cingoli (MC) , il "Balcone delle Marche" al tramonto

I 631 mt. di altezza di Cingoli ti permettono, se guardi verso est, di vedere mezza regione sotto di te, il mare Adriatico e, nelle giornate limpide, i monti della Croazia sullo sfondo (clicca qui). E se hai la fortuna di trovarti lì al tramonto, quando le ombre lentamente si stendono quasi a voler proteggere l'infinità di colline che si accalcano fino al mare, ti accorgerai che il "Balcone delle Marche" resterà invece sotto il sole ancora per tanto tempo, si...spegnerà per ultimo.

"...Scesa ancor non è su Cingoli l’oscura notte!" non è, quindi, un racconto dell'orrore ma un antichissimo detto, documentato la prima volta in un testo del XVI secolo, per descrivere la solarità di questa cittadina. Nel corso degli anni, il detto si è poi trasformato in  proverbio rivolto a chi deve eseguire un compito ma dubita di riuscirci in tempo utile oppure a chi aspetta qualcuno che tarda ad arrivare, insomma, è come dire che "la speranza è l'ultima a morire". 

"Ancora non è notte a Cingoli" (questa è la versione moderna) è una iniezione di fiducia voluta dalla saggezza popolare nei secoli per non smettere di sognare nonostante il peso di chissà quali sofferenze vissute.


10 agosto 2016

I jeans di Bruce Springsteen


"I jeans di Bruce Springsteen" sul Freccia Bianca all'altezza di Trevi.

Non c'è niente di meglio di un libro di viaggi mentre sei in viaggio, in treno.
Un'infinità di paesaggi in movimento dal finestrino, odori dialetti e discorsi sempre diversi accanto a te a ogni ripartenza, tutto sembra annullare la distanza tra la tua realtà e quella del libro. Ecco perché è così facile cadere dentro quelle pagine e così faticoso uscirne fuori, finché non arriva il controllore.

I Jeans di Bruce Springsteen è quello che ci vuole. Un bel libro...saggio, ironico  e divertente. Silvia Pareschi attraversa gli Stati Uniti in lungo e in largo in una ventina di racconti con un  linguaggio essenziale e privo di orpelli. Relega gli ambienti e gli spazi, a volte magnifici, in secondo piano via via che le storie ma sopratutto le persone si rivelano con tutte le loro diversità.  Perché Silvia è interessata a quelle diversità, le vuole conoscere e mostrarcele senza pregiudizi o giudizi, con onestà. La stessa con la quale in fondo è lei il personaggio da scoprire, anzi da riscoprire, con le spigolosità ma anche i sogni dell'adolescenza,  nel viaggio che nel 1985 la condusse nei luoghi natali di Bruce Springsteen.

Il racconto che preferisco? Katrina,  il ciclone che nel 2005 ha inondato New Orleans. Silvia l'ha conosciuto tramite l'esperienza vissuta da alcuni suoi amici e ne fa una storia dove la Natura e la natura dell'Uomo si confrontano con la stessa dinamica psicologica di un thriller, con la stessa suspense.

Altro non voglio rivelarlo perché altrimenti vi toglierei la curiosità di acquistare il libro, Silvia se ne dispiacerebbe così tanto da smettere di scrivere e io cosa leggerò in futuro?

Buona lettura quindi.

ps: la possibilità che Silvia smetta di scrivere credo sia remota perché, ad oggi, il suo è uno tra i saggi più venduti su Amazon.


25 luglio 2016

Bachi da seta a Cingoli


Sono serviti   il Museo dell'Arte Contadina di Cingoli, alcune uova di baco da seta, l'esperienza e il ricordo di due quasi novantenni (Silvio e Marì), la curiosità  e l'impegno di Rita e Franco,  per costruire con la maestria di un tempo una mini bigattiera.

Marì e l'allevamento domestico dei bachi da seta

Si è rinnovato così , quasi per magia, il ciclo completo del baco da seta, dalla larva al bozzolo. Adesso di uova ce ne sono a migliaia, troppe per utilizzarle a scopo didattico, perciò chi vorrà cimentarsi in questa avventura non dovrà far altro che chiederle al Museo.

Museo dell'Arte Contadina di Cingoli: la deposizione delle uova del baco da seta Bombyx Mori

Museo dell'Arte Contadina di Cingoli, la mini "bigattiera" per i bachi da seta

Museo dell'Arte Contadina di Cingoli, i bozzoli di seta sul "bosco"
Il Museo dell'Arte Contadina  e il Museo del Sidecar, entrambi sotto lo stesso tetto del Museo del Lago a Cingoli, convivono  in un inedito, curioso e interessante connubio, l'uno sotto e l'altro, in parte, sopra. Ma questa sarà tutta un'altra storia  da raccontare.

Cingoli, Museo dell'Arte Contadina con Rita e Franco (sotto) e il Museo del Sidecar (sopra)
Cingoli, Museo dell'Arte Contadina (sotto) e il Museo del Sidecar (sopra)


11 luglio 2016

Roma, la sfilata di moda nella Fontana di Trevi

Adiacente alla Fontana di Trevi,  la Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio
Alle ore 13 di una caldissima giornata estiva, c'ero anch'io alla Fontana dì Trevi, poche ore prima della sfilata di moda di Fendi progettata in quella stupenda cornice. Mi ero rifugiato in cima alla scalinata dell'adiacente chiesa barocca dei Santi Vincenzo e Anastasio, all'ombra, proprio davanti al portone d'ingresso. Alle mie spalle filtrava un refolo d'aria meno calda, profumata d' incenso e di note d'organo appena percettibili, un'oasi! Sotto di me la piazza. Ne avevo il controllo totale. 

Le tribune in cemento istallate per l'occasione e le transenne chiudevano il perimetro del monumento riducendo la larghezza delle già strette stradine circostanti. Malgrado l'ora, i 35 gradi di temperatura, i sampietrini bollenti (ci potevi cuocere la pizza) e le ombre degli edifici sempre più assottigliate, le fiumane di turisti non si arrestavano, continuavano a scorrere di continuo ed erano costrette a compattarsi per non mescolarsi in altri gruppi, in una babele di lingue e di effluvi da svenimento.

In quei pochi metri di spazio la globalizzazione era un dato di fatto. Malgrado le diversità dei tratti somatici, dei colori della pelle e delle lingue parlate, le sensazioni e le emozioni e i desideri ben visibili sulle facce delle persone erano uguali e trasversali in ciascuna nazionalità: stupore, allegria, curiosità, stanchezza, indifferenza, fame o voglia di una pennica, oppure pensieri inconfessabili del tipo ma chi me l'ha ffatto fa? mo me defilo e me ne vado a zonzo pe' conto mio...
Ero lì per caso, in tasca non avevo nessun biglietto d'invito perciò non avrei visto l'evento mondano della sera e non sarei stato compagno di... banco di Lagerfeld, peccato! Però una sfilata la voglio raccontare lo stesso: la sfilata delle guide turistiche. Nell'arco di una mezz'ora ne ho viste a decine, apparentemente insensibili al dolore fisico e agli umori del loro seguito, ciascuna con un segno di riconoscimento diverso: ombrello, cappello, paletta numerata, bastone o asta allungabile con su foulard, bandierina, stendardo, pompon, pelouche e chissà quant'altro.























L'Asta d'Oro per la migliore guida l'assegno a una donna, capo comitiva di una ventina di americani. Organizzatissima, con la destra impugnava un ombrello e un'asta con ben due foulard intrecciati mentre con la sinistra indicava di qua e di là. Parlava normalmente, senza alzare la voce, tanto un piccolo microfono fissato sul badge appeso al collo le consentiva di farsi ascoltare da tutto il gruppo munito di auricolari. Camminava con passo deciso, autorevole e disinvolto malgrado il caldo, la ressa, i soliti sampietrini bollenti e i suoi sandali con tacco 12.



Il pomeriggio dovevo trovarmi nella Pontificia Università Gregoriana, a pochi passi dalla Fontana di Trevi ecco perché mi trovavo da quelle parti. Il pranzo, quasi in solitaria, nell'esagerato quadriportico della facoltà mi risollevava da tutte le tribolazioni della giornata.

Roma, Pontificia Università Gregoriana